Suor Anna Monia è esperta di politiche scolastiche, legale rappresentante dell’ ente Casa religiosa Istituto di cultura e di lingue Marcelline, presidente della Fidae Lombardia e docente universitaria all’ Alta scuola impresa e società della Cattolica: ci può spiegare qual è questa formula magica. Come si fa a risparmiare tanti soldi e avere anche una scuola migliore?
«Una premessa: l’ Italia è l’ unico paese d’ Europa in cui alle famiglie è negato il diritto alla scelta educativa. Di fatto oggi chi sceglie la scuola paritaria paga due volte: la retta e le tasse. E poi ci sono famiglie che per i propri figli vorrebbero una scuola paritaria ma non possono permetterselo. Non è una questione ideologica, ma sociale».
E come si risolve questo problema secondo lei?
«Con il costo standard di sostenibilità per ogni allievo, sia della scuola statale che di quella paritaria. Oggi lo Stato spende 8mila euro l’ anno solo di spese correnti per ogni alunno a prescindere dal corso di frequenza, cioè sia che si tratti di un bimbo di tre anni che di un liceale. Ma questo è illogico oltre che dispendioso. Dai nostri calcoli è emerso che il costo standard per allievo è di varie tipologie. Ad esempio per un bambino che frequenta la scuola dell’ infanzia il costo è di 3.200 euro. Se le condizioni della famiglia sono disagiate sale a 4.573 euro. Ovviamente se in classe c’ è un disabile la cifra aumenta. Certo è che in nessun caso si arriva agli 8mila euro che adesso spende lo Stato. Il libro è pieno di tabelle che spiegano, tenendo conto di tante variabili, quanto costa un alunno. Spero che Renzi, a cui ho mandato una copia, lo legga e si renda conto di quanto potrebbe risparmiare».
Con il costo standard di sostenibilità lo Stato farebbe quello che fa normalmente un buon amministratore?
«Sì. Spenderebbe i soldi che servono effettivamente per ciascun alunno a seconda della scuola e del corso di studi che frequenta. Altro che spending review: così risparmierebbero 17 miliardi di euro l’ anno. Ci sarebbe una vera concorrenza tra scuole sotto lo sguardo dello Stato che da gestore diventerebbe garante. La qualità dell’ istruzione migliorerebbe. Le famiglie potrebbero scegliere in base alle prestazioni, alla trasparenza dei bilanci e sarebbero finalmente sanate una serie di ingiustizie sociali. Questa è la battaglia della mia vita. Per questo sono disposta anche a morire».
Suor Anna Monia, lei non è una suora «facile».
«Non sono più brava, forse sono solo più folle. Nell’ immaginario collettivo la suora è una persona fuori dal mondo. Io invece, come molte altre religiose, voglio starci dentro a questo mondo. Voglio sporcarmi le mani».
Lei ha tre lauree. Giurisprudenza, teologia ed economia e commercio. Ma cosa voleva fare da grande?
«All’ età di sette anni avevo detto a mia madre che volevo diventare suora. Ma la vocazione è arrivata molto più tardi.
In realtà da grande volevo fare il magistrato. I miei modelli erano, e sono ancora, Falcone e Borsellino. Sono esempi di coraggio, libertà ed etica».
Poi cosa è successo?
«Mi sono laureata e ho cominciato a fare pratica presso uno studio legale. Ma quando mi sono trovata a difendere un uomo sapendo che era colpevole, dentro di me è successo qualcosa. Sul codice penale avevo studiato che la pena è redentiva, non detentiva. Ho capito che la mia idea di giustizia si realizza su un altro piano, quello etico. La giustizia che si fa nei Tribunali a me non bastava. Da qui è nata un’ altra sfida».
È diventata suora.
«Ho deciso di giocarmi la mia storia d’ amore con Dio lottando nel mondo, cercando di cambiarlo. Sono una religiosa consapevole che alla base ci debba essere una laicità aperta al senso civico. E ancora agisco guardando al modello dei due magistrati siciliani. Non dico che si debba essere ammazzati, ma bisogna dare fastidio. Se non sei scomodo significa che non stai facendo bene il tuo lavoro. Penso alle parole di Falcone: “Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e cammina a testa alta muore una sola volta”. Io parlo».
Lei dà molto fastidio nel mondo della scuola… «Io chiedo solo il riconoscimento di un diritto. Non è solo una questione ideologica. Molti pensano: “Sei una suora, difendi le scuole cattoliche”. No, io difendo le famiglie. Anche quelle che scelgono per i figli la scuola statale. Perché con il costo standard di sostenibilità tutti avrebbero una scuola migliore. Più trasparente, più competitiva».
Ma cosa pensa della buona scuola di Renzi?
«La sua riforma ha lanciato dei buoni segnali. Ha chiuso con i precari e con l’ idea della scuola come ammortizzatore sociale. Finalmente avremo docenti che vanno nelle aule dopo aver superato concorsi e dopo aver frequentato corsi di formazione, insegnanti che saranno valutati per la loro capacità. E ha finalmente introdotto la possibilità di detrarre la retta scolastica».
Lei sa tutto di scuola, quanto lavora ogni giorno?
«Dalle otto all’ una di notte (tolte le due ore di preghiera)».
Si è mai pentita della sua scelta?
«Lei si è mai pentita della sua vita? Ha mai pensato di scappare dal marito, dai figli?
Sì, soprattutto quando sono stanca. Ma io non sono una suora.
«Io ho avuto delle crisi rispetto alla Chiesa, non alla scelta. Ma mi sono detta: “Puoi scendere dal palcoscenico della tua vita e giudicarlo, oppure starci sopra e sporcarti le mani per ripulirlo”. Ho scelto la seconda strada. Io sono una peccatrice come gli altri».
Ha mai avuto dei fidanzati?
«Sì, da adolescente. Ma ho sempre avuto dentro un amore grandissimo che nessuno riusciva a colmare».
Suor Anna Monia, più la sento parlare più fatico ad immaginarla in un convento. La vedo benissimo nell’ aula di un Tribunale.
«Non avrei potuto fare la suora di clausura. La mia vocazione mi porta nelle periferie dell’ esistenza dell’ uomo».
Lei quando e come esplora queste periferie?
«Quando si presenta una famiglia senza soldi che vorrebbe iscrivere i suoi figli in una scuola paritaria ma non può farlo. E allora che facciamo? La rimandiamo a casa? No, ipotechiamo i nostri immobili per dare anche a questi bambini la possibilità di studiare nella scuola che desiderano i loro genitori».
Quanto guadagna?
«Zero. Sono rappresentate legale che, in un’ azienda, equivale all’ amministratore delegato, con 600 dipendenti, ma non voglio togliere soldi alla cassa delle mie scuole. Non mi intessa il denaro. Mi interessa parlare e vincere la battaglia della libertà di scelta educativa delle famiglie».
Quanto manca?
«Finché vivo farò di tutto perché questo accada presto, prestissimo».
Lucia Esposito
FONTE – LIBERO QUOTIDIANO