venerdì 12 Febbraio 2021 – V Settimana T. O. – Santi Martiri di Abitene – PRIMA LETTURA Gen 3,1-8; – Sal 31 (32); – VANGELO Mc 7,31-37
Riflessione quotidiana al Vangelo per camminare in Cristo: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
Gesù è in «pieno territorio della Decapoli», un raggruppamento di dieci città libere, con un proprio territorio, con abitanti anche pagani che agli occhi dei giudei era considerati «cani» (cf. Mt 15,26; Gv 4,9).La legge imponeva ai Giudei di amare e di rispettare i sordomuti (Lev 19,14), ma ai tempi di Gesù erano praticamente tagliati fuori dal consorzio civile e religioso per una miriade di motivi: erano considerati peccatori pubblici perché la loro infermità dai più era considerata il giusto castigo di chissà quali peccati occulti; poi, l’handicap, impedendo loro di procurarsi un lavoro, li costringeva a vivere di espedienti e, a volte, ponendoli fuori dalla legalità dalle guide spirituali erano posti tout court fuori anche dalla salvezza (cf. Gv 7,49).
Il sordomuto probabilmente aveva già incontrato Gesù e forse già aveva sentito nel suo cuore l’amore, la predilezione che il giovane Rabbi aveva per i più poveri, per i più indifesi, per gli ammalati. Forse glielo avevano raccontato a gesti come si fa con i sordi (cf. Lc 1,59); comunque, quest’uomo incurante del rispetto umano, la sua malattia lo costringeva a stare nella classe degli impuri, si avvicina a Gesù e con la bocca dei suoi amici lo prega di toccarlo, di imporgli le mani. Lui non lo può fare con la sua bocca perché essa era arida, senza suoni; ma, certamente, lo avrà fatto con il volto, con gli occhi, con gesti frenetici delle mani, sopra tutto con il cuore.Gesù, per evitare inutili clamori, in disparte, per dargli la guarigione, gli pone «le dita negli orecchi e con la saliva gli tocca la lingua». Questi erano gesti abituali dei medici e dei guaritori in genere. Gli antichi ritenevano che la saliva contenesse sostanze medicamentose. Ma Gesù non è un guaritore, non è un mago e non fa gesti magici. Avrebbe potuto guarirlo con un gesto, anche da lontano, ma Egli sa che la fede della folla che lo assediava non è ancora matura, per cui qualsiasi suo gesto, se fosse uscito fuori dai canoni del sentire comune, poteva essere equivocato.
Gesù compie il miracolo in disparte lontano dalla folla per evitare che essa, essendo in gran parte pagana, lo scambiasse per uno stregone o per un guaritore che a quei tempi riempivano ogni angolo del Paese. Lo fa in disparte per non eccitare la folla, avrebbe preso lucciole per lanterne (Mt 16,14). Lo fa in disparte soprattutto perché Lui è umile e non ama gli strepiti, la pubblicità. Lo fa in disparte perché vuole manifestare il mistero della sua persona e della sua missione progressivamente.Gesù guarda al cielo: per chiedere il sì del Padre? Probabilmente. Emette un sospiro, forse è il suo cuore, spezzato dalle tante infermità a cui è sottoposto il genere umano, che lo fa gemere. Ed è questa pietà che gli strappa l’assenso.
Gesù è il Dio pietoso che si china sui malati, sugli infermi per consolarli, per guarirli: «Buono e pietoso è il Signore, grande nell’amore» (Sal 103,8; cf. Es 34,6; 1Gv 4,8.16). Lui è venuto nel mondo per liberare gli uomini dalla tirannia del peccato e introdurli in un paese dove Egli tergerà ogni lacrima dai loro occhi; un paese ove non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno (Ap 21,4).Il comando di Gesù, effatà, una parola di origine aramaica, non riguarda solo gli orecchi e la bocca del sordomuto, ma si riferisce a tutta la sua persona, che si apre alla comprensione della persona del Cristo. La guarigione è immediata e definitiva. Gesù realizza così la profezia di Isaia 35,5-6. Il sordomuto è la primizia di tutti quegli uomini che dalla potenza salvifica della Parola di Dio saranno guariti da quella sordità spirituale che impedisce loro di cogliere i segni e le parole rivelatrici di Gesù.
Abitene era una città della provincia romana detta Africa proconsularis, nell’odierna Tunisia, situata, secondo un’indicazione di S. Agostino, a sud ovest dell’antica Mambressa, oggi Medjez el–Bab, sul fiume Medjerda.Nel 303 d.C. l’imperatore Diocleziano, dopo anni di relativa calma, scatena una violenta persecuzione contro i cristiani ordinando che “si dovevano ricercare i sacri testi e santi Testamenti del Signore e le divine Scritture, perché fossero bruciati; si dovevano abbattere le basiliche del Signore; si doveva proibire di celebrare i sacri riti e le santissime riunioni del Signore” (Atti dei Martiri, I).
fonte – sintesi da: http://radici3.blogspot.com/2021/01/
Abitene era una città della provincia romana detta Africa proconsularis, nell’odierna Tunisia, situata, secondo un’indicazione di S. Agostino, a sud ovest dell’antica Mambressa, oggi Medjez el–Bab, sul fiume Medjerda.
Ad Abitene un gruppo di 49 cristiani, contravvenendo agli ordini dell’Imperatore, si riunisce settimanalmente in casa di uno di loro per celebrare l’Eucaristia domenicale. È una piccola, ma variegata comunità cristiana: vi è un senatore, Dativo, un presbitero, Saturnino, una vergine, Vittoria, un lettore, Emerito…Sorpresi durante una loro riunione in casa di Ottavio Felice, vengono arrestati e condotti a Cartagine davanti al proconsole Anulino per essere interrogati. Al proconsole, che chiede loro se possiedono in casa le Scritture, i Martiri confessano con coraggio che “le custodiscono nel cuore”, rivelando così di non voler distaccare in alcun modo la fede dalla vita.Il loro stesso martirio si trasforma in una liturgia “eucaristica”; tra i tormenti, infatti, si possono ascoltare dalle labbra dei Martiri espressioni come queste: « Ti prego, Cristo, esaudiscimi. Ti rendo grazie, o Dio… Ti prego, Cristo, abbi misericordia ». La loro preghiera è accompagnata dall’offerta della propria vita e unita alla richiesta di perdono per i loro carnefici.Tra le diverse testimonianze, significativa è quella resa da Emerito. Questi afferma, senza alcun timore, di aver ospitato in casa sua i cristiani per la celebrazione. Il proconsole gli chiede: “Perché hai accolto nella tua casa i cristiani, contravvenendo così alle disposizioni imperiali? ”. Ed ecco la risposta di Emerito : « Sine dominico non possumus »; non possiamo, cioè, né essere né tanto meno vivere da cristiani senza riunirci la domenica per celebrare l’Eucaristia.Il termine dominicum racchiude in sé un triplice significato. Esso indica il giorno del Signore, ma rinvia anche, nel contempo, a quanto ne costituisce il contenuto: alla Sua resurrezione e alla Sua presenza nell’evento eucaristico.Questi 49 martiri di Abitene hanno affrontato coraggiosamente la morte, pur di non rinnegare la loro fede nel Cristo risorto e non venir meno all’incontro con Lui nella celebrazione eucaristica domenicale. Perché? non certamente per la sola osservanza di un “precetto” – visto che solo in seguito la Chiesa stabilirà il precetto festivo. Allora, perché? Perché i cristiani, fin dall’inizio, hanno visto nella domenica e nell’Eucaristia celebrata in questo giorno un elemento costitutivo della loro stessa identità. È quanto emerge con chiarezza dal commento che il redattore degli Atti dei martiri fa alla domanda rivolta dal proconsole al martire Felice: “Se sei cristiano non farlo sapere. Rispondi piuttosto se hai partecipato alle riunioni”. Ed ecco il commento: «Come se il cristiano potesse esistere senza celebrare i misteri del Signore o i misteri del Signore si potessero celebrare senza la presenza del cristiano! Non sai dunque, satana, che il cristiano vive della celebrazione dei misteri e la celebrazione dei misteri del Signore si deve compiere alla presenza del cristiano, in modo che non possono sussistere separati l’uno dall’altro? Quando senti il nome di cristiano, sappi che si riunisce con i fratelli davanti al Signore e, quando senti parlare di riunioni, riconosci in essa il nome di cristiano».Il proconsole Anulino, al termine della giornata impiegata per gli interrogatori, 12 febbraio 304, e constatato la loro professione di fede cristiana, li fece rinchiudere in carcere. Negli Atti non è riportato come morirono, ma sembra che siano stati alcuni giustiziati, altri morti di fame e torture nel carcere, comunque in tempi diversi.Alla luce della testimonianza dei martiri di Abitene acquista maggiore forza quanto scrivono i Vescovi italiani negli Orientamenti pastorali: «Ci sembra fondamentale ribadire che la comunità cristiana potrà essere una comunità di servi del Signore soltanto se custodirà la centralità della domenica, “giorno fatto dal Signore” (Sal 118,24), “Pasqua settimanale”, con al centro la celebrazione dell’Eucaristia, e se custodirà nel contempo la parrocchia quale luogo – anche fisico – a cui la comunità stessa fa costante riferimento» (CVMC 47).
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