Domenica, IV di Avvento – Sant’Abramo, confessore – PRIMA LETTURA 2Sam 7,1-5.8b-12.14a.16 – Dal Salmo 88 (89) – SECONDA LETTURA Rm 16,25-27 – VANGELO Lc 1,26-38
Riflessione quotidiana al Vangelo per camminare in Cristo: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te». Ci stiamo preparando alle festività natalizie ormai imminenti cercando, sul fondamento della Liturgia della Parola, di trovare le motivazioni della nostra gioia cristiana. Non l’effimera gioia delle occasioni passeggere, ma la gioia fondata sulle verità eterne ed immutabili della nostra fede in Dio. Il saluto che l’Angelo rivolge a Maria ci offre un altro importante tassello: siamo nella gioia quando il Signore è con noi. Quando? Sempre! Perché Dio è il Dio-con-noi. È il Dio fedele che mai viene meno alla sua Parola e alla sua Alleanza: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, sulle palme delle mie mani ti ho disegnato, le tue mura sono sempre davanti a me» (Is 49,15-16). Non c’è attimo della nostra vita in cui il Signore non sia con noi. Dal giorno del Battesimo siamo suo tempio santo, sua santa dimora. Nella Eucarestia diventiamo una sola cosa in lui. Per mezzo dello Spirito Santo siamo resi un solo corpo, innestati in Cristo come tralci alla vite. E se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? Se Dio è con noi, chi ci separerà dal suo amore? San Paolo ci ricorda che niente e nessuno potrà mai strapparci da Dio! Questa è la nostra gioia. Sì, Dio è con me sempre! Se anche lo dovessi rinnegare, egli rimane fedele. Rallegriamoci, dunque, nel Signore!
Pane di oggi:Mio Signore, mio Dio, mia gioia, mia pace e mia speranza. Ti rendo grazie in eterno perché tu mi sei fedele, perché mai mi rinneghi, perché sempre mi ami. Mi rallegro perché tu sei con me, perché sei in me, perché agisci con potenza nella mia vita, perché mi hai reso tuo e nulla mai mi separerà più da te.
Azione: Rallegrati, il Signore è con te! Qui è riassunta ogni mia gioia.
fonte: http://www.madredellaparola.it/?page_id=1
Abramo e Coren furono discepoli dei santi vescovi Giuseppe, Isacco e Leonzio, erano sacerdoti armeni ammogliati ed avevano la cura delle anime. Quando nel 450 il re di Persia Iezdegerd II inviò agli Armeni un decreto con cui ordinava di accettare come religione il mazdeismo, il clero e i principi armeni, riunitisi nel sinodo di Artasat, risposero energicamente che preferivano la morte piuttosto che rinnegare la loro fede cristiana. A questo sinodo erano presenti Abramo e Coren. L’anno seguente (451) il re mandò il suo esercito per imporre con la forza quanto non era riuscito ad ottenere con le minacce; ma il popolo armeno con a capo i suoi principi combattè coraggiosamente, mentre il clero assisteva e incoraggiava i soldati nella dura lotta. La guerra segnò una sconfitta per gli Armeni, dei quali molti guadagnarono la palma del martirio, mentre altri furono fatti prigionieri. Tra questi ultimi c’erano anche Abramo e Coren, che insieme con i loro maestri Giuseppe, Isacco e Leonzio, furono cacciati in prigione per tre anni nella città di Nisapur, nel nord-est della Persia. I vescovi furono messi a morte in quanto ritenuti responsabili della ribellione contro il re, mentre ai loro discepoli Abramo e Coren, invitati a rinnegare la loro fede, fu proposta l’adorazione del sole per essere messi in libertà. Essi rifiutarono, e per questo il giudice Tamsapur ordinò che fossero trascinati per terra e poi di tagliar loro le orecchie, infine li mandò in Mesopotamia ai lavori forzati nelle terre del re. Qui essi si prodigarono aiutando e consolando i prigionieri armeni sopravvissuti alla guerra del 451. Dopo sette anni di duro lavoro, nel 461, Coren moriva in seguito ad una insolazione confessando la sua fede, mentre Abramo continuò ancora per due anni a sopportare la vita in esilio, finché fu liberato nel 463 e poté ritornare in patria. Qui, però, visto che il popolo lo onorava come confessore, si ritirò in solitudine per dedicarsi alla vita cenobitica. Dopo tre anni, tuttavia, la fama della sua vita angelica attirò ancor più l’attenzione del popolo, che lo costrinse ad accettare la consacrazione episcopale. Fu, infatti, vescovo di Bznunik per qualche anno e morì in fama di santità. La festa dei due santi confessori si celebra il 20 dicembre.
fonte: http://www.santiebeati.it