Come si misura la qualità della vita? E’ sufficiente un numero come il Prodotto Interno Lordo per avere un’idea reale della crescita e del benessere di un Paese al di là della ricchezza che produce? Il dibattito è aperto e sono sempre di più gli esperti che credono sia necessario trovare nuovi strumenti per rappresentare il livello di sviluppo economico, sociale, culturale e ambientale di un territorio. In altre parole, la “felicità” di un Paese.In Italia, un sistema alternativo lo stanno sperimentando da alcuni anni gli economisti dell’associazione Sbilanciamoci, con il Quars, l’indice di qualità regionale dello sviluppo. A differenza del Pil, il Quars misura il benessere delle regioni italiane basandosi volutamente su indicatori diversi da quelli tradizionali e tiene conto di parametri come la distribuzione del reddito, la solidarietà, la quantità di lavoro sommerso, le iniziative di welfare pubblico, la tutela dei diritti di genere e di cittadinanza, il rispetto dell’ambiente, la qualità dell’aria, il numero di asili nido per abitante e la soddisfazione degli utenti nelle strutture sanitarie e negli ospedali.
In tutto, le variabili misurate sono 41 e sono raggruppate in sette macro-indicatori: Ambiente, Economia e Lavoro, Diritti e Cittadinanza, Istruzione e Cultura, Salute, Pari Opportunità e Partecipazione.
Il rapporto Quars del 2010, “Come si vive in Italia?”, è quindi un metro per individuare le differenze tra le varie regioni italiane in ciascuna delle sette aree di indagine. Analizzandolo è possibile scoprire che alcuni territori che sono ai primi posti delle statistiche tradizionali per quanto riguarda la ricchezza e la produzione di beni e servizi non sempre primeggiano in termini di benessere, sostenibilità e qualità della vita. Anzi, in certi casi, si trovano nelle posizioni più basse delle varie graduatorie. Per esempio, la Lombardia è al terzo posto nella graduatoria del Pil pro-capite ma è solo nona nella classifica complessiva Quars.
Per rendere ancora più visibile anche graficamente il confronto tra i territori italiani, il rapporto Quars inserisce per ogni macro-indicatore una “mappa” dell’Italia in cui ogni regione è rappresentata in modo più grande o più piccolo a seconda di quanto il parametro preso in esame si discosta in positivo o in negativo dai valori medi. Se ad esempio, nella categoria Ambiente, la regione Trentino Alto-Adige ha raggiunto dei risultati più alti di altre regioni viene raffigurata sulla cartina con dimensioni maggiori rispetto ad altre e viceversa.
Due aree di analisi in cui lo squilibrio tra le regioni è particolarmente elevato e in cui le mappe dell’Italia sono più “deformate” sono Economia e Lavoro e Pari Opportunità.
La prima delle due, Economia e Lavoro, è composta da quattro variabili: la precarietà del lavoro (che tiene conto del sommerso, dei contratti interinali, dei co.co.co e dei co.co.pro.), la disoccupazione, l’indice di povertà relativa (la quota di popolazione che vive in famiglie la cui spesa mensile per consumi è pari o al di sotto della spesa media pro-capite nel Paese) e la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi. In questa dimensione di analisi, i dati complessivi riferiti a tutto il territorio nazionale mostrano che la crisi economica nel 2010 ha avuto un duro impatto sulla condizione dell’Italia: anche se la precarietà e la disuguaglianza dei redditi hanno avuto una flessione leggerissima, la disoccupazione e la povertà relativa sono cresciute in modo considerevole e lo squilibrio tra Nord e Sud si è accentuato ancora di più.
Spostando lo sguardo sui singoli territori, si può osservare che è il Trentino Alto Adige la regione che per il secondo anno consecutivo occupa il primo posto della classifica Quars che misura la qualità della vita a livello economico e lavorativo. A ruota seguono il Veneto (seconda anche l’anno scorso), la Toscana, che sale di un posto rispetto al 2009 (dal quarto al terzo posto), e il Friuli Venezia Giulia che invece slitta di una posizione. Tra le regioni che detengono il primato, il Trentino si riconferma il luogo della Penisola con il più basso tasso di disoccupazione e di precarietà del lavoro, mentre il Veneto è la regione italiana che registra il più basso tasso di disuguaglianza del reddito.
E’ proprio per questa variabile, la disuaglianza del reddito delle famiglie, che Emilia-Romagna, Piemonte e Liguria perdono due posizioni nella graduatoria complessiva rispetto all’anno scorso. L’Umbria, protagonista del miglioramento più significativo, guadagna tre posizioni e diventa l’ottava regione d’Italia secondo il parametro del benessere economico complessivo.
Scende di due gradini anche il Molise che invece è penalizzata da un peggioramento per quanto riguarda la precarietà del lavoro. In queste dinamiche di precarizzazione del lavoro, la componente che secondo il rapporto Quars pesa di più è il sommerso, perché emblematico di un indebolimento progressivo dei diritti dei lavoratori. Oltre al già menzionato Molise, le regioni in cui la precarietà assume i tratti più drammatici sono in particolare quelle del Mezzogiorno (22% in Campania, 31% in Campania) e il Lazio, che occupa la penultima posizione della hit del lavoro precario.
Che il gap tra le regioni sia aumentato lo si nota anche dalla parte bassa della classifica, dove si trovano i territori con valori inferiori alla media nazionale. Se si esclude il risultato leggermente positivo di Lazio e Puglia, che salgono di una posizione rispetto al 2009 ma restano ancora alquanto distanti dalla media, per le altre regioni “meno virtuose” si assiste a un progressivo allontanamento da quelle dove la qualità e il benessere economico sono più elevati: i territori del Sud tra cui Basilicata, Campania, Sicilia e il fanalino di coda Calabria sembrano addirittura “staccati” dal resto del Paese. Per queste regioni, tutte le quattro variabili considerate registrano valori negativi e sostanzialmente in linea con quelli riscontrati negli ultimi anni.
L’altro macro-indicatore in cui la mappa dell’Italia è alquanto deformata rispetto alla reale conformazione geografica è quello relativo alle Pari Opportunità. Se in generale si può affermare che l’Italia non è ancora un Paese in cui si è raggiunta un’effettiva parità tra uomo e donna (il tasso di occupazione e tasso di attività delle donne sono inferiori di oltre il 20% rispetto a quelli maschili, fonte Istat), la situazione diventa ancora più allarmante per come questa disparità è distribuita tra le varie regioni. Anche in questo caso, le regioni del Centro-Nord ottengono dei risultati complessivamente migliori rispetto a quelle del Mezzogiorno. Le dimensioni prese in considerazione dall’analisi per mettere a confronto la realizzazione delle pari opportunità tra le varie regioni italiane sono la partecipazione delle donne all’attività politica (la quota di donne presenti nei consigli regionali), la partecipazione alla vita economica, la disponibilità di asili nido comunali (necessari per agevolare il percorso professionale delle donne) e la diffusione di consultori familiari (indispensabili per aiutare la donna nella libertà di scelta in tema di sessualità, procreazione e prevenzione).
Complessivamente è la Valle d’Aosta la regione più virtuosa nella realizzazione del principio di uguaglianza: è qui, ad esempio, che si registra il più alto numero di consultori in Italia e la più forte partecipazione femminile al mercato del lavoro. La Toscana, che occupa il secondo posto della classifica generale, è in testa per quanto riguarda la partecipazione femminile alla vita politica (oltre un quarto di consiglieri regionali sono donne) e la copertura di asili nido (30 posti per 100 bambini in età 0-2 anni, una quota non troppo distante dall’obiettivo fissato nella Strategia di Lisbona per l’anno 2010: 33 posti). Nelle ultime posizioni della classifica si collocano regioni meridionali come Molise, Calabria, Sicilia, Campania e Puglia, che presentano valori negativi per tutti gli indicatori e in particolare, per le ultime tre regioni, riguardo all’integrazione femminile nel mondo del lavoro.
Non mancano però le sorprese, sia in positivo che in negativo. La Basilicata, per esempio, è agli ultimi posti per quel che concerne la partecipazione delle donne alla politica ma è una delle sei regioni della Penisola che ha raggiunto il numero desiderato di consultori. Di contro, una regione del Nord come il Friuli Venezia Giulia è quella che ha il numero di consultori più basso in Italia e si colloca nella parte bassa della classifica generale Quars dell’uguaglianza tra i sessi. Anche il Lazio, che è una delle regioni italiane più grandi ed è quinta per Pil pro-capite, è al di sotto della media nazionale riguardo all’impegno per promuovere le pari opportunità e sostenere l’emancipazione e l’autodeterminazione della donna.
fonte:Sbilanciamoci.org