Eutanasia del medico e del paziente: Legge Dat (disposizioni anticipate di trattamento)

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Cosa sono le “Disposizioni anticipate di trattamento”?

Lo spiega l’articolo 3: «Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere – recita il primo comma –, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, può, attraverso le Dat, esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari», senza eccezione. Indica anche «una persona di sua fiducia» che «lo rappresenti nelle relazioni con il medico».

Chi vuole e chi critica la legge sulle Dat?

Il dibattito sul testo base è iniziato a metà gennaio, con un’accelerazione improvvisa voluta dai sostenitori del progetto (Pd, M5S e Sinistra italiana) che ha dovuto presto fare i conti col dissenso profondo delle altre forze parlamentari. Nella Commissione presieduta da Mario Marazziti (Democrazia solidale-Centro democratico) si è acceso un confronto serrato su alcune centinaia di emendamenti presentati da una pattuglia di deputati cattolici di vari partiti che hanno ottenuto alcune modifiche significative ma non ritenute ancora sufficienti a pri- vare il ddl di possibili applicazioni con forme di abbandono terapeutico, eutanasia passiva o persino di suicidio assistito. La necessità di fare chiarezza ha comportato tempi più lunghi del previsto e ripetuti rinvii dell’invio all’aula. Il persistente dissenso su alcuni nodi irrisolti ha poi fatto sì che l’ultima fase dell’esame in Commissione abbia visto l’uscita dall’aula dei deputati dissenzienti. Le due settimane trascorse da allora sono servite per cercare nuove formulazioni, ma considerando l’estrema delicatezza della materia il fattore tempo risulta ancora determinante. Tanto da far pensare che ci si debba concedere un congruo margine per ripensare alcuni passaggi.

Perché si parla di “Disposizioni anticipate di trattamento”?

Un primo punto critico è già nel titolo: qui le «disposizioni anticipate di trattamento» hanno preso il posto delle «dichiarazioni» originarie, assai meno obbliganti per il medico. Sempre Dat sono, ma la scelta delle parole pesa. E’ una scelta terminologica nuova: si è infatti parlato sempre di “dichiarazioni”, alludendo a un documento redatto dal paziente e del quale il medico tiene conto senza tuttavia sentirsi obbligato ad assecondarlo alla lettera se le richieste del paziente non tengono palesemente conto delle migliori conoscenze in campo scientifico, terapeutico o clinico che potrebbero consentirgli un reale miglioramento delle condizioni di salute. La scelta di parlare di “disposizioni” mette inesorabilmente in secondo piano questa possibilità. Se il paziente ha la possibilità di modificare o revocare in ogni momento le sue Disposizioni anticipate di trattamento, il medico invece è “tenuto” al loro rispetto con la sola eccezione che “sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione” delle Dat “capaci di assicurare possibilità di miglioramento delle condizioni di vita” (articolo 3, comma 5).

Il Centro Studi Livatino formato da magistrati, docenti universitari, avvocati e notai, dopo aver diffuso nei giorni scorsi un un appello di oltre 250 giuristi, inviato a Deputati e Senatori, e un documento sulle gravi ricadute che le nuove norme avranno sull’esercizio della professione medica, esprime preoccupazione per il testo appena approvato dalla Camera: confuso, contraddittorio, impreciso e nella sostanza eutanasico, esso avrà – se confermato dal Senato – delle gravi ricadute sul rapporto fra medico e paziente.

La relazione di fiducia, fondata da millenni sul giuramento di                                            Ippocrate in vista del bene-salute dell’ammalato, viene oggi sostituita dal principio della disponibilità della vita umana e dal burocratismo di un consenso che impegnerà il medico più nella compilazione di carte che nei necessari trattamenti di cura e terapia.

Da professionista che punta alla salute del paziente questa legge trasforma il medico in un soggetto ossessionato dalla dettagliata informazione del malato, dalla verifica della comprensione di costui, dalle modalità di esplicitazione del consenso. La costrizione a sospendere idratazione e alimentazione, se assistite, insieme con trattamenti di sedazione profonda, sono in tutto e per tutto atti di eutanasia. A differenza di quanto dichiarato, l’obiezione di coscienza non è riconosciuta con le forme dovute – analoghe a quelle che riguardano altre materie – e invece vi è l’estensione della disciplina alle strutture sanitarie non statali.

Se ha avuto senso respingere il 4 dicembre scorso la cattiva riforma della Costituzione, è anche perché il Senato riveda per intero una disciplina così dannosa e incivile.

fonte:www.avvenire.it  –  www.centrostudilivatino.it

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