Beato Leopoldo da Alpandeire Marquez Sanchez Cappuccino e Sant’Apollonia – Un po’ di Pane Spirituale per Camminare in Cristo – martedì 9 febbraio 2021 –

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martedì 9 Febbraio 2021 – IV Settimana T. O.Beato Leopoldo da Alpandeire Marquez Sanchez Cappuccino e Sant’Apollonia – PRIMA LETTURA Gen 1,20-2,4a;Sal 8; – VANGELO Mc 7,1-13

Riflessione quotidiana al Vangelo per camminare in Cristo: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me.

Siamo di fronte a una nuova polemica – come altre già avute da Gesù con i più zelanti giudei del suo tempo: i farisei e gli scribi (v. 1). La disputa che li oppone al maestro riguarda un punto apparentemente marginale della condotta dei suoi discepoli: essi prendono i pasti con mani impure, cioè non lavate (v. 2). Per i suoi lettori romani ignari delle usanze giudaiche, Marco è costretto a precisare meglio il senso del problema (vv. 3-4): queste pratiche minuziose dei giudei relative ai pasti risalgono alla legge di Mosè. Per mantenere il popolo eletto nella sua integrità socio-religiosa, gli era vietato ogni contatto con persone a alimenti dichiarati «impuri» (Lv 11-16). Nella vita quotidiana, al ritorno da luoghi aperti al pubblico a dai mercati, gli israeliti si sentono ritualmente «impuri»: non hanno forse sfiorato dei peccatori e dei pagani (venditori e occupanti romani)? Da questo, le loro accurate purificazioni prima di prendere il pasto e la domanda posta a Gesù riguardo alla noncuranza dei suoi amici in relazione a queste norme (v. 5).Il maestro, risolutamente, comincia col denunciare l’ipocrisia degli avversari, cioè la loro falsità (vv. 6-7).

«Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché lasciarvi imporre, come se viveste ancora nel mondo, dei precetti quali «Non prendere, non gustare, non toccare»? La libertà è un anelito che trova radici profonde nel cuore dell’uomo. È il frutto di lotte, di conquiste pagate a caro prezzo … ma cosa significa libertà per l’uomo di oggi? Che valore ha? Cosa significa vivere da uomini liberi? Il Magistero della Chiesa risponde a queste domande e lo fa dicendo innanzi tutto che la libertà dell’uomo è «finita e fallibile».

«Di fatto, l’uomo ha sbagliato. Liberamente ha peccato. Rifiutando il disegno d’amore di Dio, si è ingannato da sé; è divenuto schiavo del peccato. Questa prima alienazione ne ha generate molte altre. La storia dell’umanità, a partire dalle origini, sta a testimoniare le sventure e le oppressioni nate dal cuore dell’uomo, in conseguenza di un cattivo uso della libertà» (Catechismo della Chiesa Cattolica 1739). Quindi, l’uomo, nel gustare il dono della libertà, deve partire dalla sincera consapevolezza che nel cuore porta una profonda ferita inferta dal peccato dei Progenitori e dal suo peccato attuale: un vulnus che lo spinge al male (Rom 7,14-25). Per cui se la libertà non è incanalata nell’alveo di veri valori può diventare libertinaggio e paradossalmente mera schiavitù. Per cui, l’esercizio della libertà «non può implicare il diritto di dire e di fare qualsiasi cosa».«È falso pretendere che l’uomo, soggetto della libertà, sia un “individuo sufficiente a se stesso ed avente come fine il soddisfacimento del proprio interesse nel godimento dei beni terrestri”. Peraltro, le condizioni d’ordine economico e sociale, politico e culturale richieste per un retto esercizio della libertà troppo spesso sono misconosciute e violate. Queste situazioni di accecamento e di ingiustizia gravano sulla vita morale ed inducono tanto i forti quanto i deboli nella tentazione di peccare contro la carità. Allontanandosi dalla legge morale, l’uomo attenta alla propria libertà, si fa schiavo di se stesso, spezza la fraternità coi suoi simili e si ribella contro la volontà divina» (ibidem 1740).Solo Cristo ha veramente reso liberi gli uomini perché con la sua croce gloriosa li ha «riscattati dal peccato che li teneva in schiavitù». Noi siamo liberi perché Cristo ci ha liberato dal peccato. La vera libertà consiste nel non essere più schiavi del peccato: in Cristo «abbiamo comunione con “la verità” che ci fa liberi [Gv 8,32]. Ci è stato donato lo Spirito e, come insegna l’Apostolo , “dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà” [2Cor 3,17]» (ibidem 1741). E non è vero che la «grazia di Cristo si pone in concorrenza con la nostra libertà», soprattutto «quando questa è in sintonia con il senso della verità  del bene che Dio ha messo nel cuore dell’uomo» (ibidem 1742).Celiando, George Orwell diceva ai suoi amici: «La libertà è poter affermare che due più due fa quattro. Se ciò è garantito, tutto il resto segue». Sarà vero, ma la libertà inizia ad essere realtà solo quando l’uomo accoglie con amore il «Dono-Gesù che viene dall’alto e discende dal Padre della luce».

fonte – sintesi da: http://radici3.blogspot.com/2021/01/

Risultato immagini per santo del giorno 9 febbraio

La sua morte è narrata nella “Historia ecclesiastica” di Eusebio di Cesarea, che riporta una lettera di san Dionigi di Alessandria, testimone dei fatti inerenti la cattura e l’uccisione di Apollonia. Ad Alessandria nell’anno 248 scoppiò una persecuzione popolare contro i cristiani: in uno degli attacchi venne presa anche Apollonia, anziana vergine, impegnata nell’opera di diffusione del Vangelo nella sua città. Le strapparono i denti e accesero un fuoco minacciandola di gettarla tra le fiamme se non avesse rinnegato la fede cristiana, ma Apollonia preferì gettarsi da sola nel rogo e morire.

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Beato Leopoldo de Alpandeire,  Religioso Cappuccino

Nel volgere di pochi mesi il nostro Ordine, si appresta a vivere una seconda beatificazione e sempre nella Penisola Iberica! È la volta di fr. Leopoldo da Alpandeire, un confratello vicino ai nostri tempi.La sua vita non si distinse per opere strepitose, ma piuttosto per la semplicità e la fedeltà che metteva in tutto il suo fare. Di lui si può dire che fu in primo luogo un “uomo di Dio”, permeato del suo Spirito. Era frate questuante e per questo andava ogni giorno tra la gente. La sua non era una posizione di potere, bensì quella di uno che chiede e che lascia libero chi gli sta davanti. Chiedeva l’elemosina per il vivere dei frati, lasciava in cambio a chi gli dava, la serenità, la pace, i doni dello Spirito.

Il beato Leopoldo fa parte di quella grande schiera di frati questuanti che hanno incarnato in minorità la domanda di chi cerca, la domanda del Buon Dio che cerca l’uomo perché gli vuol bene. Oggi l’umile questuante raggiunge la gloria degli altari, ne gioiamo e allo stesso tempo gli chiediamo di accompagnare chi cerca Dio, di accompagnare perché da frati minori cappuccini sappiamo essere aperti alla voce dello Spirito per vivere tra la gente in semplicità e senza nient’altro che la letizia e l’allegria di sapersi amati da Lui.Nel centro della Serranía de Ronda si incontra Alpandeire, villaggio minuscolo, nascosto, come un nido nel cuore della montagna, una bellezza naturale. È la terra natia del nostro santo questuante cappuccino, mistico dell’umiltà e del nascondimento, dono di Dio all’umanità che cerca il suo destino.I suoi genitori, Diego Márquez Ayala e Jerónima Sánchez Jiménez, erano contadini, semplici e laboriosi e, come la maggior parte della gente, lavoravano duro per rendere fertile quella terra rocciosa dalla quale trarre il sostentamento per la famiglia. Il 24 giugno 1864 nacque il primo figlio che il giorno 29 di giugno al fonte battesimale riceveva il nome di Francisco Tomás di San Giovanni Battista, il nostro fr. Leopoldo. Diego e Jerónima furono rallegrati dalla nascita di altri tre figli, Diego, Juan Miguel e Maria Teresa.

Il beato Leopoldo fa parte di quella grande schiera di frati questuanti che hanno incarnato in minorità la domanda di chi cerca, la domanda del Buon Dio che cerca l’uomo perché gli vuol bene. Oggi l’umile questuante raggiunge la gloria degli altari, ne gioiamo e allo stesso tempo gli chiediamo di accompagnare chi cerca Dio, di accompagnare perché da frati minori cappuccini sappiamo essere aperti alla voce dello Spirito per vivere tra la gente in semplicità e senza nient’altro che la letizia e l’allegria di sapersi amati da Lui.Nel centro della Serranía de Ronda si incontra Alpandeire, villaggio minuscolo, nascosto, come un nido nel cuore della montagna, una bellezza naturale. È la terra natia del nostro santo questuante cappuccino, mistico dell’umiltà e del nascondimento, dono di Dio all’umanità che cerca il suo destino.I suoi genitori, Diego Márquez Ayala e Jerónima Sánchez Jiménez, erano contadini, semplici e laboriosi e, come la maggior parte della gente, lavoravano duro per rendere fertile quella terra rocciosa dalla quale trarre il sostentamento per la famiglia. Il 24 giugno 1864 nacque il primo figlio che il giorno 29 di giugno al fonte battesimale riceveva il nome di Francisco Tomás di San Giovanni Battista, il nostro fr. Leopoldo. Diego e Jerónima furono rallegrati dalla nascita di altri tre figli, Diego, Juan Miguel e Maria Teresa.

Il beato Leopoldo fa parte di quella grande schiera di frati questuanti che hanno incarnato in minorità la domanda di chi cerca, la domanda del Buon Dio che cerca l’uomo perché gli vuol bene. Oggi l’umile questuante raggiunge la gloria degli altari, ne gioiamo e allo stesso tempo gli chiediamo di accompagnare chi cerca Dio, di accompagnare perché da frati minori cappuccini sappiamo essere aperti alla voce dello Spirito per vivere tra la gente in semplicità e senza nient’altro che la letizia e l’allegria di sapersi amati da Lui.Nel centro della Serranía de Ronda si incontra Alpandeire, villaggio minuscolo, nascosto, come un nido nel cuore della montagna, una bellezza naturale. È la terra natia del nostro santo questuante cappuccino, mistico dell’umiltà e del nascondimento, dono di Dio all’umanità che cerca il suo destino.I suoi genitori, Diego Márquez Ayala e Jerónima Sánchez Jiménez, erano contadini, semplici e laboriosi e, come la maggior parte della gente, lavoravano duro per rendere fertile quella terra rocciosa dalla quale trarre il sostentamento per la famiglia. Il 24 giugno 1864 nacque il primo figlio che il giorno 29 di giugno al fonte battesimale riceveva il nome di Francisco Tomás di San Giovanni Battista, il nostro fr. Leopoldo. Diego e Jerónima furono rallegrati dalla nascita di altri tre figli, Diego, Juan Miguel e Maria Teresa. Nel calore dell’amore familiare, alimentato dalla pratica delle virtù cristiane, crebbe la buona semente cristiana di Francisco Tomás. Da suo padre apprese le buone maniere, i principi cristiani e la pratica del bene. Dalle labbra della mamma, imparò la preghiera. Allegro, giudizioso, di buona compagnia, lavoratore instancabile, Francisco Tomás incominciava la sua giornata assistendo alla Santa Messa e visitando il Santissimo Sacramento. Il suo condividere il poco che aveva e la sua bontà naturale, mai forzata, erano espressione di una profonda vita spirituale e di una forte esperienza di fede. Era “tutto cuore” soccorrendo i poveri, ci dicono le testimonianze di chi lo ha conosciuto. Si racconta che regalava i suoi attrezzi da contadino a chi ne aveva bisogno, o donava i soldi guadagnati con la vendemmia ai poveri che incontrava nel suo cammino verso casa. Passò così nel lavoro dei campi e nella vita familiare i suoi primi 35 anni di vita “nascosta”. Intanto Dio lo andava modellando lentamente aspettando l’occasione per chiamarlo al suo servizio. E così nel 1894, ascoltando la predicazione dei cappuccini in occasione della festa che si stava preparando a Ronda per celebrare la beatificazione del cappuccino Diego da Cadice, il giovane Francisco Tomás, decise di abbracciare la vita religiosa facendosi cappuccino. “Chiedo di essere cappucciFu destinato al convento di Granada, per la prima volta, nel 1903 e sempre con l’ufficio di ortolano. Furono gli ultimi anni vissuti in assoluto ritiro tra i vecchi muri conventuali e l’orto. Anni di profonda esperienza spirituale e di silenzio. Nell’orto crebbe il suo dialogo con Dio ed insieme crebbero le sue virtù. Dall’orto passava alla cappella del Santissimo dove per lunghe notti stava in profonda adorazione. Nel vecchio convento di Granada il 23 di novembre dell’anno 1903, fr. Leopoldo emise i voti perpetui nelle mani di fr. Francisco de Mendieta, Superiore della casa. Era la sua consacrazione definitiva a Dio per la quale aveva vissuto e per la quale vivrà il resto della sua vitano come loro”. Attratto dalla “loro vita ritirata”. Solo nel 1899 veniva accolto tra i cappuccini nel convento di Siviglia. Un mese dopo passava al noviziato accompagnato dal parere più che favorevole dei membri della comunità che ne lodavano il silenzio, l’impegno, la preghiera, la sua bontà. Per mano di fr. Diego de Valencina, Superiore e Maestro dei novizi, il 16 novembre dello stesso anno ricevette l’abito cappuccino ed il nome di fr. Leopoldo da Alpandeire.

La decisione di farsi cappuccino non richiese un cambiamento radicale di vita, già viveva una profonda ed intensa vita evangelica. Fr. Leopoldo lavorando nei campi e nell’orto del convento trasformava il suo umile lavoro in preghiera costante ed in generoso servizio. Il cambio di nome, commenterà anni più tardi, lo scosse “come una doccia di acqua fredda”, anche perché quel nome non era usuale tra i membri dell’Ordine. Il suo entrare in convento non era conseguenza della povertà, neppure un rifugio per un cuore affranto, ma manifestazione di quanto già vissuto e sentito vivo. L’esempio del beato Diego da Cadice lo aveva indotto a servire Dio con tutto se stesso fino all’immolazione. Sapendolo contadino, a Siviglia lo incaricarono di aiutare il fratello ortolano. Nell’orto oltre alle verdure fr. Leopoldo coltivava anche i suoi doni spirituali. Chi lo conobbe afferma che la sua santa allegria era eguale alla sua profonda interiorità che i suoi occhi ed il suo volto non potevano nascondere. Ogni suo gesto, anche il più quotidiano e ripetuto, scaturiva infatti da una profonda comunione con Dio. Il novizio fr. Leopoldo sperimentò la gioia di aver risposto alla chiamata di Dio. Era certo: aveva 36 anni, però la giovinezza dello spirito non era un fatto solamente interiore, esplodeva in una visibile e gustabile allegria. L’esperienza del noviziato mise le basi del suo cammino spirituale, poiché il suo amore a Dio si andava accrescendo della conoscenza della tradizione e della spiritualità cappuccina. Fu destinato al convento di Granada, per la prima volta, nel 1903 e sempre con l’ufficio di ortolano. Furono gli ultimi anni vissuti in assoluto ritiro tra i vecchi muri conventuali e l’orto. Anni di profonda esperienza spirituale e di silenzio. Nell’orto crebbe il suo dialogo con Dio ed insieme crebbero le sue virtù. Dall’orto passava alla cappella del Santissimo dove per lunghe notti stava in profonda adorazione. Nel vecchio convento di Granada il 23 di novembre dell’anno 1903, fr. Leopoldo emise i voti perpetui nelle mani di fr. Francisco de Mendieta, Superiore della casa. Era la sua consacrazione definitiva a Dio per la quale aveva vissuto e per la quale vivrà il resto della sua vita.

Dopo brevi soggiorni a Siviglia e a Anteguera, il 21 febbraio del 1914, raggiungerà nuovamente Granada per rimanervi per sempre. La città ai piedi della Sierra Nevada, sarà lo scenario di mezzo secolo della sua vita. Ortolano, sacrista e questuante, sempre unito a Dio e allo stesso tempo sempre vicino alla gente. L’ufficio di questuante sarà quello che lo definirà e lo caratterizzerà. Si era fatto religioso per vivere lontano dal “rumore del mondo”, fu lanciato dall’obbedienza a combattere la battaglia decisiva della sua vita tra le strade della città e le voci della gente. Da ora, e con passo spedito, le montagne, le valli, i cammini polverosi, le vie, saranno il suo chiostro e la sua chiesa. Fr. Leopoldo, come altri santi cappuccini segnati da una marcata inclinazione alla vita contemplativa, visse costantemente in contatto con la gente che invece di distrarlo, lo aiutò ad uscire da se stesso, a caricarsi del peso degli altri, a comprendere, ad aiutare, a servire, ad amare. Era, come ha detto un suo fervente devoto “distaccato, ma non distante”.La sua figura fu così popolare nella città da essere da tutti riconosciuto. Soprattutto i bambini che al vederlo gridavano “Guarda, per di là viene fr. Nipordo”, e gli correvano incontro. Si fermava con loro spiegando qualche pagina di catechismo e con gli adulti per ascoltare i loro problemi e le loro preoccupazioni. Fr. Leopoldo aveva scoperto il modo per dispensare a tutti la bontà divina: recitare Tre Ave Maria. Era la sua formula per far intrecciare il divino nell’umano.Per mezzo secolo, giorno dopo giorno, fr. Leopoldo percorse Granada distribuendo l’elemosina dell’amore, dando colore ai giorni tristi di molti, creando unità ed armonia, portando tutti ad incontrare Dio, dando dignità al fare di tutti i giorni. Ogni sua azione e ogni suo accostarsi alla gente era sempre nuova.Non tutto fu però facile, ne senza difficoltà. Fr. Leopoldo infatti esercitò il suo essere questuante in un epoca nella quale in Spagna soffiavano venti anticlericali e quanto sapeva di religioso era mal visto se non perseguitato.

Era il tempo delle “Due Spagne”, della Seconda Repubblica prima e della guerra civile poi. Settemila furono i religiosi e i sacerdoti uccisi per il semplice motivo di essere tali. Nel suo andare giornaliero alla questua fr. Leopoldo ebbe molto a soffrire e non poche volte fu insultato malamente: “Fannullone, presto ti metteremo quel cordone al collo!”. “Vagabondo, gli gridavano, lavora invece di andare cercando l’elemosina!”. “Preparati che andiamo a tagliarti il collo!”. “ Sperimentò questo clima ostile e parafrasando il Vangelo, diceva: “Poveretti, non ho che da avere compassione di loro perché non sanno quello che dicono!”.C’era, mi domando, un qualche segreto nella vita del nostro fratello questuante? Sì, il segreto della sua vita era la sua orazione, la sua unione con Dio e il suo lavoro. Egli trasformava tutto in preghiera e la sua preghiera era il suo lavoro più prezioso. La sua vita non fu una vita di grandi gesti o di eventi particolari, tranne ciò che normalmente viene chiesto per chi abbraccia la vita religiosa.La santità di fr. Leopoldo aveva come supporto l’umanità del vecchio Francisco Tomás. Egli mantenne l’identità del contadino di Alpandeire che già includeva il suo cammino di santità.

Fr. Leopoldo, prese a modello San Felice da Cantalice, nel tenere gli occhi rivolti alla terra ed il cuore al cielo. Aveva occhi di bambino, puri e penetranti, sereni e limpidi. Trasmetteva serenità, purezza e dolcezza di cuore, frutto di una pace interiore che lo invadeva.Aveva un particolare ascendente su tutti quelli che lo incontravano a causa della sua umiltà e disponibilità. La sua figura non era di quelle che colpiscono ed attraggono l’attenzione. Più che “andare tra la gente, fr. Leopoldo, passava tra la gente ”, più che guardare, vedeva nel cuore delle persone che lo cercavano. Si spense il 9 febbraio 1956. Aveva 92 anni. L’umile questuante delle Tre Ave Maria, si riunì al Signore. La notizia della sua morte corse per tutta la città di Granada commuovendola. Un fiume di gente di ogni età e condizione si incamminò verso il convento dei cappuccini. La fama di santità che già lo aveva accompagnato in vita, è cresciuta dopo la sua morte. Ogni giorno, ma soprattutto il 9 di ogni mese, un’insolita affluenza di gente da tutto il mondo visita la sua tomba. Molte sono le grazie che Dio concede per l’intercessione del suo servo fedele.

Alcuni fioretti del Beato Leopoldo: Un giorno un gruppo di falciatori gli gridò: “vagabondo, lavora invece di andare in giro. Ci potresti dare una mano”. Fra’ Leopoldo si avvicinò e si mise a lavorare con loro, lasciandoli indietro con la sua abilità di contadino. Rivelò che era stato lavoratore come loro e che in convento coltivava l’orto: “Fratelli, io sono come voi”. Questo gli permise di ottenere rispetto, consentendogli anche di fare un po’ di catechismo.Un’altra volta, «entrò in un negozio di Plaza de Bib-Rambla. Quel giorno il padrone aveva venduto poco e non solo non diede l’elemosina, ma insultò pesantemente il frate. Il beato ascoltò tutto con pazienza e si allontanò. Il giorno seguente ritornò e disse: “Fratello, preghiamo la Santissima Vergine con tre Ave Maria”. Quell’uomo, commosso, recitò le preghiere e per un po’ di tempo fra’ Leopoldo passava da lui per recitare le tre Ave Maria». Un giorno il beato entrò nel Café Suizo e si avvicinò a un tavolo. Ricevette solo insulti e percosse. Cadde a terra. Rialzatosi, disse con umiltà: “Mi avete colpito e buttato a terra; ora, per favore, fate l’elemosina per amor di Dio”. Tutta Granada chiedeva preghiere e conforto a fra’ Leopoldo. Le persone pie gli dicevano spesso: “fra’ Leopoldo, preghi per me, perché lei è un santo”. Subito rispondeva: “santo no, non sono affatto santo. Santo è l’abito”.L’umiltà gli permetteva anche di correggere il prossimo, soprattutto i bestemmiatori. «Un giorno un operaio appena lo vide, cominciò a bestemmiare. Fra’ Leopoldo gli si avvicinò e gli disse: “Se volete offendere il frate, fate pure, ma non offendete il Signore”. L’uomo lo ascoltò con molto rispetto e si vergognò di quello che aveva fatto. Un altro giorno un lattaio bestemmiava vicino al convento de la Encarnación perché si era versato il latte di un recipiente. Fra’ Leopoldo si avvicinò al poveretto e gli disse che il nome di Dio bisognava invocarlo solo per lodarlo. Il lattaio si scusò dicendo di aver perduto il guadagno di una giornata. Il beato gli venne incontro con il denaro ricevuto per carità, raccomandandogli che lodasse sempre il nome del Signore».La gente non lo avvicinava solo per la sua carità, per la sua fama di miracoli, per i suoi consigli, ma lo cercava soprattutto per la sua umiltà, lo vedeva come un vero amico di Dio e del prossimo. «In comunità cercava sempre di ritirarsi nell’angolo più nascosto. Quando celebrò il cinquantesimo di professione, il 16 novembre del 1950, un giornale di Granada scrisse articoli pieni di apprezzamento e di lode. Fra’ Leopoldo ne ebbe molto a soffrire: “Che guaio, ci facciamo religiosi per servire il Signore nel nascondimento e, cosa vedo, ci mettono perfino sui giornali”. Non gradiva essere fotografato. Acconsentiva solo quando glielo ordinava il superiore». 

Fonte: www.fraticappuccini.it

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