8 Gennaio – Beata Eurosia Fabris Barban, Terziaria francescana – PRIMA LETTURA 1Gv 4,7-10 – Dal Salmo 71 (72) – VANGELO Mc 6,33-44
Riflessione quotidiana per camminare in Cristo: I miracoli annunciano e inaugurano il regno di Dio. C’è chi si chiede se abbia ancora senso parlare di miracoli, se essi siano oggi di aiuto alla fede o piuttosto di ostacolo, in quanto estranei alla mentalità scientifica dell’uomo moderno. È essenziale coglierne il significato.
Nell’Antico Testamento gli eventi prodigiosi dell’esodo e in genere i miracoli compiuti da Dio e dai suoi inviati attestano la presenza salvifica del Signore nella storia del suo popolo. Nel Nuovo Testamento questi fatti straordinari sono chiamati «miracoli (opere potenti), prodigi e segni» (At 2,22): opere potenti, perché manifestano la potenza creatrice di Dio; prodigi, perché sono avvenimenti straordinari e inspiegabili, che destano l’ammirazione degli uomini; segni, perché nel contesto della predicazione evangelica trasmettono un preciso significato, la venuta del Regno.
I miracoli sono gesti con cui Dio ci parla. Si rivolgono sempre alle persone, o perché le riguardano direttamente, come le guarigioni di malati, o almeno perché recano loro qualche beneficio materiale e spirituale, come accade nella moltiplicazione dei pani e in altre trasformazioni della natura. E per costituire il segno, non conta solo il fatto straordinario, ma anche il modo e il contesto in cui avviene.
San Marco nota che i beneficati furono più di cinquemila, senza contare le donne e i fanciulli. Questo strepitoso miracolo del Signore non potrà essere compreso appieno se non si pensa al discorso che Gesù tenne il giorno seguente a Cafarnao. La gente era sempre in cospicuo numero; si accalcava intorno a Lui per implorare: dacci ancora di quel pane. Ed ecco la risposta del Redentore del mondo: non cercate il pane che passa, che muore; cercate il pane della vita, quello che non perisce, giacché viene dal Cielo.
Gesù è il Pastore compassionevole che nutre le sue pecore con la Parola e con il Pane degli Angeli. Il luogo deserto richiama alla mente il miracolo della manna (Es 16,12-35). Tutto il racconto della moltiplicazione dei cinque pani e dei due pesci, i gesti di Gesù, la preghiera di benedizione, ricorda l’istituzione dell’Eucarestia (Mc 14,22). L’abbondanza dei pani e dei pesci avanzati stanno a significare i sovrabbondanti doni di Dio (Es 16,19-24), che liberalmente e gratuitamente versa nel cuore degli uomini. Al termine di questo miracolo non ci sono le solite espressioni di meraviglia e ciò fa credere che Marco lo abbia voluto raccontare non tanto come un miracolo quanto come un segno messianico che svelasse ai Dodici il segreto della persona di Gesù.
fonte: http://radici3.blogspot.com/2021/01/
Il santo nella Chiesa Cattolica, è colui che si lascia guidare dallo Spirito Santo e corrisponde alla sua chiamata. Lo Spirito ne plasma l’anima e quando vuole dare un messaggio alla sua Chiesa, lo presenta come esempio agli altri.
Questo è il senso della beatificazione e canonizzazione nella Chiesa Cattolica. E la santità si manifesta in ogni età, condizione sociale e luogo; così si mostrò anche nella vita e nella casa della madre di famiglia Eurosia Fabris Barban, la quale nacque il 27 settembre 1866 a Quinto Vicentino, grosso Comune ad 8 km da Vicenza.
I suoi genitori Luigi e Maria Fabris si trasferirono nel 1870 a Marola (Vicenza) e qui Rosina, come era chiamata in famiglia, frequentò solo le prime due classi elementari, perché poi dovette aiutare i genitori nei lavori dei campi; in quel tempo in cui l’analfabetismo femminile superava il 75%, fu una fortuna per lei che poté imparare a leggere, scrivere e fare i conti e la lettura fu la sua passione.
Crebbe nel clima cristiano della famiglia, ogni sera ci si riuniva per recitare il rosario; si prefisse sempre la ricerca della volontà di Dio per il suo futuro.
Le sue devozioni furono il Crocifisso, il Presepio, lo Spirito Santo, il Tabernacolo, la Vergine Maria, le anime del Purgatorio; condusse la sua adolescenza e giovinezza nella preghiera, nel lavoro, nella semplicità e nell’innocenza, completò la sua formazione con la lettura di libri utili studiando il catechismo e la Storia Sacra.
Insegnò il catechismo nella parrocchia di Marola alle fanciulle e in seguito insegnò nella sua casa l’arte del taglio e cucito alle giovani.
Nel 1885 quando Rosina aveva 19 anni, accadde una disgrazia nella casa dei suoi vicini, una giovane sposa moriva di un male incurabile, lasciando vedovo Carlo Barban di 23 anni, con due figliolette Chiara Angela e Italia di 20 e 4 mesi; assieme a loro convivevano il nonno Angelo anziano e ammalato e il fratello di Carlo ancora minorenne, Benedetto.
Una situazione tragica che colpì profondamente la giovane Rosina e quando le fu chiesto di accudire la casa come domestica, accettò ben volentieri, concentrando soprattutto le sue cure alle piccole bisognose di affetto.
La sua opera continuò per sei mesi, poi dietro richiesta del giovane vedovo, seguendo il consiglio dei parenti e del parroco, accettò di sposarlo soprattutto per poter accudire come una mamma le piccole orfane; vide in questo matrimonio la volontà di Dio, tante volte chiesto di manifestarsi.
Il matrimonio venne celebrato il 5 maggio 1886 nella loro chiesa parrocchiale di Marola, frazione di Torri di Quartesolo (VI); il suo matrimonio fu considerato da tutti uno squisito gesto di carità.
Entrando nella famiglia Barban, Eurosia Fabris era cosciente che non andava a fare la ‘signora’ come si dice; il marito Carlo, è vero possedeva dei buoni e produttivi campi, ma il padre Angelo si era lasciato truffare lasciando il figlio in una pesante situazione debitoria.
Rosina aveva capito il valore della povertà; anche Gesù era stato povero, eppure era il padrone del mondo. Amava che la casa fosse pulita e in ordine, si percepiva che si trattava di una povertà dignitosa; erano tempi di una forte crisi economica e sociale, ma Eurosia confidò sempre nell’aiuto di Dio.
Intanto la sua famiglia aumentava, ebbe sette figli propri, così come le aveva preannunciato la Madonna apparendole nel Santuario di Monte Berico; a loro si aggiunsero nel 1917 altri tre orfani di una nipote, Sabina, morta mentre il marito era al fronte nella Prima Guerra Mondiale; nessuno dei parenti voleva occuparsene, per cui Eurosia e il marito Carlo, non ebbero tentennamenti e l’accettarono in casa.
Al marito preoccupato di come si poteva andare avanti, lei rispondeva: “Coraggio Carlo, pensiamo che il Signore ci vede e ci ama; penserà lui a toglierci dalle necessità; ci soccorrerà di certo, almeno per i nostri bambini, egli che ama tanto l’innocenza”.
Rosa era molto generosa, faceva da balia spesso a bambini le cui madri non potevano allattarli, a volte si trovò con tre bambini contemporaneamente, distribuiva ai più poveri, latte, uova, minestra, che portava personalmente di nascosto, si può dire che se lo toglieva di bocca per donarlo.
In effetti Eurosia visse nei primi decenni del Novecento, che furono caratterizzati da una forte crisi economica, da tanta povertà, con l’emigrazione e con le conseguenze della guerra del 1915-18; il denaro era scarso e le famiglie bisognose numerose, non esisteva ancora la Previdenza Sociale e mamma Rosa faceva quello che poteva, non con i soldi che mancavano, ma con i prodotti dell’orto e del pollaio.
Persuase spesso il marito ad alloggiare i pastori o i pellegrini di passaggio e quasi ogni notte, nel fienile o nella stalla, c’erano persone che dormivano e alle quali Rosina forniva anche la cena; una volta una donna partorì anche un bambino nella stalla e lei si attivò per aiutarla, i coniugi Barban accolsero quella famiglia per tre giorni nella loro casa.
Della sua numerosa famiglia, tra figli suoi e adottati, due morirono in tenera età, altri due scelsero il sacerdozio don Giuseppe e don Secondo Barban, un altro Angelo Matteo, fu francescano con il nome di padre Bernardino Barban; Chiara Angela, la prima adottata, entrò fra le Suore della Misericorda di Verona; un altro morì seminarista e un altro fu francescano con il nome di frate Giorgio; gli altri sei dei complessivi tredici figli, scelsero la via del matrimonio; a tutti mamma Rosa insegnò a cercare senza sosta la volontà di Dio, se volevano salvarsi l’anima.
Durante gli studi dei due figli sacerdoti, dovette convincere Carlo il marito, di lasciarli andare, specie il primo destinato a dare una mano in famiglia lavorando i campi.
Non avendo denaro per la retta, i due giovani frequentarono il ginnasio da esterni, quindi tutte le mattine mamma Rosa si svegliava presto, per preparare la colazione ai due figli, che poi si recavano a piedi da Marola al Seminario di Vicenza; poi usciva per assistere alla Messa, al ritorno preparava la colazione per tutti gli altri, nel frattempo svegliati; oltre le faccende domestiche, dedicava il resto del tempo libero al lavoro di sarta fino a tarda sera, per contribuire al vacillante bilancio familiare.
In questa missione di madre cristiana, arricchita dalla spiritualità francescana del Terz’Ordine di cui Eurosia, sin dal 1916 era iscritta e frequentava assiduamente, si sacrificò e consumò, senza divertimenti di sorta, con un lento e continuo logorio, giorno per giorno, come una candela sull’altare della carità.
Morì l’8 gennaio 1932 circondata dall’affetto dei suoi cari; il 3 febbraio 1972 iniziò presso la Curia vescovile di Padova, il processo informativo per la sua beatificazione, conclusasi il 23 aprile 1977.
Il 22 giugno 2004 la competente Congregazione Vaticana, alla presenza del papa Giovanni Paolo II, ha riconosciuto la validità di un miracolo ottenuto grazie alla sua intercessione; ciò ha aperto la porta della beatificazione che avverrà nei prossimi mesi.
È stata beatificata il 6 novembre 2005 a Vicenza sotto il pontificato di Benedetto XVI.
La diocesi di Vicenza la ricorda il 9 gennaio.
fonte: http://radici3.blogspot.com/2021/01/ – Autore: Antonio Borrelli