Storia di un condannato dalla Chiesa. Per amore. Verità o ipocrisia?
Pubblicato da Laura Alari Ven, 17/09/2010 – 12:26
Può la Chiesa condannare un uomo per amore? Purtroppo sì, come ricorda Andrea nella lettera inviata ai suoi parrocchiani. Vi propongo questa testimonianza così com’è, senza ulteriori spiegazioni sui protegonisti nè sull’ambito in cui è maturata, perchè arrivi al cuore di chi la legge senza deviazioni. E con la speranza che aiuti ad aprire un confronto vero, profondo, non solo fra cattolici o praticanti di altre religioni, ma anche e soprattutto con il contributo prezioso dei non credenti.
Carissime amiche e preziosi amici,
la scelta della quale voglio rendervi partecipi con questa mia lettera mi riempie di gioia e al contempo è stata anche fonte di non poca sofferenza e frutto di un lungo e faticoso discernimento.
Per quanto sia inevitabilmente, purtroppo, una scelta di ?rottura?, la vivo e la vedo in un cammino di profonda linearità nella mia maturazione umana, di fede e come presbitero.
La fatica e la difficoltà che mi hanno accompagnato in questi ultimi tempi non hanno riguardato il mio essere prete ma il modo di viverlo.
È una riflessione e una maturazione che mi accompagna da tempo e che adesso mi chiede di scegliere per vivere con coerenza e verità quello che penso e quello che sento.
Prima di tutto scegliere una coerenza intellettuale: credo che per una vera e necessaria riforma della chiesa sia indispensabile un altro modello di ministero. Almeno lo avverto importante per me: il prete come uomo altro, separato, quasi un supercristiano, uomo del sacro mi è sempre stato stretto, tanto più ora. Per costruire una chiesa comunione, corresponsabile, vedo determinante che il presbitero, come nei primi secoli, sia uno della comunità, scelto dalla comunità per presiedere alla comunione dei fratelli e delle sorelle con i quali condivide la stessa vita.
Poi scegliere una coerenza affettiva. Mi sono portato dentro in questi anni il desiderio di una vita di coppia, di una relazione intima e speciale con una persona e non voglio più negarla, né nasconderla, né metterla da parte. Mi sembra che mi chieda questo la mia autenticità di vita.
Non credo sarei un prete peggiore di quello che sono solo per il fatto di avere una donna accanto, ma il celibato obbligatorio è una regola determinante per mantenere quel modello di prete che contesto. La legge del celibato obbligatorio per i preti entra tardi nella prassi della chiesa e lo fa cedendo ad una visione negativa della sessualità e al recupero in ambito ecclesiale di norme di purità rituale del giudaismo e del paganesimo e contribuendo decisamente a costruire una figura di prete che sia un po’ un cristiano speciale, staccato dal resto della comunità.
È incredibile per me ogni volta pensare a come le condizioni determinanti per la chiesa cattolica per vivere il ministero siano l’essere maschio e l’essere celibe, due condizioni che niente dicono sulla capacità, sulle competenze, sui carismi… Nella mia preghiera di questi giorni mi sono soffermato, ed è stato ancora una volta di consolazione, sul brano del vangelo che la liturgia ci ha consegnato il 17 agosto: Mt 19,23-30. A Pietro che chiede cosa otterranno coloro che hanno lasciato tutto per seguirlo Gesù risponde: ?Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna?. È sorprendente come da questo elenco manchi la moglie (o il marito). Gesù non chiede ai suoi di lasciare la compagna o il compagno di una vita. L’annuncio del regno non è in contrasto con l’amore concreto e feriale di una vita a due come molti di voi in mille occasioni mi avete mostrato con la vita.
Scelgo la vita di coppia, ma non scelgo di non essere più prete. Non guardo a questi preziosi quindici anni di ministero come si può stare davanti ad uno sbaglio. Lo studio e l’insegnamento della teologia, lo spezzare la Parola nella comunità ed essere lì dentro ministro le avverto anche oggi cose mie. Sono e rimarrò prete, ma il dono fatto dallo Spirito alla chiesa con la mia ordinazione dovrà trovare altri modi di esprimersi perché la mia chiesa non lo ritiene più utile.
Paradossalmente avessi vissuto nel nascondimento il mio desiderio di vita a due ? o semplicemente avessi continuato a non dichiararlo ?
niente sarebbe successo. Le scelte di verità, di dignità e di chiarezza spesso costano, ma sono felice di pagarne tutto il prezzo.
Questo per me chiede la libertà.
Spero vivamente che non ci perderemo. Ho vissuto il ministero in questi anni mettendo al primo posto non il ruolo, ma le relazioni e tengo molto all’amicizia con ciascuno e ciascuna di voi: da parte mia farò di tutto per continuare a coltivarle, non ho alcuna intenzione di sparire né dalla vita ecclesiale, né da Viareggio.
Vi abbraccio tutti con tanto affetto.
Andrea