Sante Fosca e Maura – Un po’ di Pane Spirituale per Camminare in Cristo – sabato 13 febbraio 2021

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Sabato 13 Febbraio 2021 – V Settimana T. O. – Sante Fosca e Maura – PRIMA LETTURA Gen 3,9-24;Sal 89 (90) – VANGELO Mc 8,1-10

Riflessione quotidiana al Vangelo per camminare in Cristo: <Prese i sette pani, rese grazie, li spezzò e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero; ed essi li distribuirono alla folla>.

… Gesù è la rivelazione della misericordia divina che vuole in lui soccorrere nel deserto il popolo e farsi pane. Allo stesso tempo vuole che i suoi discepoli percepiscano questi suoi sentimenti e si lascino coinvolgere. Chiede aiuto. Ed essi rispondono che non c’è nulla da fare: «Com’è possibile … qui in un luogo deserto?» (8,4). La prima moltiplicazione dei pani è totalmente dimenticata, ma non la dimentica, Gesù, che presto la richiamerà alla loro memoria. Adesso però non possono neppure suggerire di mandarli nei villaggi vicini, perché secondo Gesù non ci riuscirebbero. Non c’è proprio nulla da fare! È la solita constatazione degli uomini di fronte alla fame del mondo.
E Gesù interviene: «Quanti pani avete?». Ed essi rispondono: «Sette» (8,5). Poi saltano fuori anche i pesci (8,7), ma sono i pani che più interessano al narratore e a una comunità che celebra l’Eucaristia. La descrizione infatti assume subito toni eucaristici. Gesù li fa sedere e si appresta a dare loro da mangiare. Nei due racconti di moltiplicazione parla di un pane che prepara un altro pane, quello eucaristico, e allo stesso tempo simboleggia quello della sua parola, di cui presto si parlerà (8,14ss).
Osserviamo Gesù. Come ai tempi di Mosè il popolo viene saziato nel deserto con un pane che è dono e segno della misericordia divina, così fa ora Gesù, il nuovo Mosè.

Giovanni Paolo II (Omelia, 18 giugno 1992): Esistono diverse categorie di fame, che tormentano la grande famiglia umana. C’è stata la fame che ha trasformato in cimiteri intere città e paesi. C’è stata la fame dei campi di sterminio, prodotti dai sistemi totalitari. In diverse parti del globo c’è ancor oggi la fame del terzo e del “quarto” mondo: là muoiono di fame gli uomini, le madri e i bambini, gli adulti e gli anziani. È terribile la fame dell’organismo umano, la fame che stermina. Ma esiste anche la fame dell’anima, dello spirito. L’anima umana non muore sui sentieri della storia presente. La morte dell’anima umana ha un altro carattere: essa assume la dimensione dell’eternità. È la “seconda morte” (Ap 20,14). Moltiplicando i pani per gli affamati, Cristo ha posto il segno profetico dell’esistenza di un altro Pane: “Io sono il pane vivo, disceso dal Cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno” (Gv 6, 51).

Il pane che Dio ci dona si contrappone a tutti gli alimenti di questo mondo che non possono saziare l’intimo dell’uomo: è il Verbo eterno del Padre, Lui stesso, Parola fatta carne (cfr. Gv 1,1.14), a farsi alimento dell’intera umanità. In altre parole, solo il Figlio di Dio può soddisfare appieno tutti i bisogni dell’uomo, anche i più profondi e vitali. Lui solo sazia la fame del mondo.

fonte – sintesi da: http://radici3.blogspot.com/2021/01/

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Nei dintorni di Venezia, una delle località più malinconicamente suggestive è Torcello, la più antica, e per molti secoli la più splendida città della laguna veneta. Nacque nel V secolo, quando la popolazione di Altinum fuggì davanti al cavallo di Attila.

Altinum era stata cinta di mura turrite. In ricorda dell’antica, la nuova città fu perciò chiamata Turricellum, poi Torcello. Quando, al tempo dei Longobardi, anche il Vescovo Paolino vi trapiantò il pastorale, Torcello si estese e prosperò. Divenne un « grande emporio di traffici e di lavoro », per decadere poi con lo sviluppo della vicina Venezia, finché la malaria e l’insabbiamento della laguna completò l’opera di abbandono. Gli antichi e mirabili edifici della città solcata dai canali, cedettero allora sulle fondazioni marce, sprofondarono nella melma lagunare, furono spogliati. Oggi sopravvivono soltanto due, bellissimi. Uno è la chiesa che fu cattedrale, snella come un alto vascello, alberata da uno squadrato campanile. L’altro è la chiesa di Santa Fosca, più tarda, ma ancor più interessante nella sua architettura circolare, con cupola e portici ai lati in questa chiesa che si conservano le reliquie di Santa Fosca e di Santa Maura, martiri del III secolo, non di Torcello, che ancora non esisteva, ma di Ravenna, allora municipio romano. Fosca aveva quindici anni, nel 250, quando l’Imperatore Decio ordinò la persecuzione. La sua famiglia era pagana ma la fanciulla sentì nascere in cuore una strana pietà. Si confidò perciò alla sua affezionata nutrice, chiamata Maura, cioè Mora, forse perché d’origine africana.

Maura incoraggiò i propositi della fanciulla. E fece di più, unendosi a lei nella conversione. Le due donne furono battezzate insieme, Avuta la notizia della conversione, il padre di Fosca fremé d’ira e di sdegno. Tentò ogni mezzo permessogli dalla sua autorità di pater familias per far recedere la figlia dalla sua decisione. Si potrebbe pensare che fosse spinto a ciò dall’affetto, temendo per la fanciulla i rigori della persecuzione. Poi egli stesso denunciò Fosca e Maura al governatore Quintiliano.

La leggenda, quasi per render tangibile la virtù delle due donne, racconta che i soldati incaricati di arrestarle, non osarono avvicinarsi, scorgendo due Angioli che si tenevano al loro fianco. Fosca e Maura si presentarono da sole in tribunale; sostennero l’accusa, professarono la fede. Nei processi contro i Cristiani, l’ultima risorsa per spingere all’apostasia era la tortura. Ma la fede di Fosca e di Maura non vacillò sotto la flagellazione. Furono tutt’e due messe a morte con la spada.

Santa Maura è considerata il modello delle nutrici cristiane, per avere, oltre al latte della vita corporale, istillato nella fanciulla il latte della vita eterna. Perciò è venerata come patrona delle balie. E il suo nome è sempre unito nella devozione a quello di Santa Fosca, sua figlia di latte e di spirito, come unite sono le loro reliquie.

fonte: santodelgiorno.it


La testimonianza del martirio
tratto dalla Somma di Teologia dogmatica di padre Giuseppe Casali

Gesù aveva predetto la persecuzione e la morte cui i suoi seguaci sarebbero andati incontro. Infatti ancor prima della conversione di Saulo, il Diacono Stefano, lapidato a Gerusalemme apre la schiera dei confessori di Cristo che continua ininterrotta nei secoli: dagli Apostoli (i quali tutti subirono il martirio compreso S. Giovanni che fu messo in una caldaia di olio bollente da cui uscì miracolosamente illeso) fino oggi, a Maria Goretti, a Pierluigi Chanel, ai Missionari e ai semplici fedeli della Cina, della Russia, e di ogni parte del mondo. Già gli imperatori romani volevano soffocare nel sangue la Religione di Cristo e invece, come diceva Tertulliano il sangue dei martiri era semenza di nuovi cristiani. Hanno fatto martiri il giudaismo, il paganesimo, lo scisma, l’eresia, la massoneria, il comunismo, ed ogni altro genere di vizi. Non c’è stata epoca che non abbia visto la Chiesa imporporata dalla testimonianza del sangue.
Tutta la Tradizione ha considerato il MARTIRIO COME UNA PROVA DEL CRISTIANESIMO. Considerato in tutti i suoi elementi, non si può spiegare, infatti, senza un INTERVENTO DI DIO e perciò è senz’altro un MIRACOLO MORALE COL QUALE VIENE CONFERMATA LA DIVINITÀ DEL CRISTIANESIMO. Abbiamo detto: «in tutti i suoi elementi» perché ci sono pure uomini che hanno dato la vita per nobili ideali, quali l’amor di patria, l’amore della verità, della libertà, ecc. Ma il numero di questi non è nemmeno da mettersi in confronto con la schiera interminabile di eroi cristiani, numerosissimi in ogni tempo. E tra questi elementi sono da considerarsi:
1) – LA QUALITA’ DELLE PERSONE che subivano il martirio. Non solo erano giovani coraggiosi e robusti, ma timide donne e perfino bambine e bambini; eran vecchi, eran persone di qualunque età e condizione. Erano mamme che lasciavano la creatura appena nata, come Vibia Perpetua; che esortavano gli stessi figli a sostenere i tormenti, cui assistevano impavide, per subire tante volte il martirio nel cuore prima che nel corpo come S. Felicita, madre di sette Martiri, sotto Marco Aurelio, o che ponevano il figlio ancora agonizzante, sul carro degli altri martiri già volati al cielo come la mamma di S. Melitone.
2) – LA FACILITA’ DI LIBERARSI. Molte volte sarebbe bastata una parola di rinnegazione per esser lasciati liberi, un granello d’incenso gettato nel tripode dei falsi dèi. Avevano le promesse, le lusinghe più allettanti, l’offerta di tutti i piaceri e gli onori del mondo. E veder giovanette rinunziare alla mano di nobili personaggi, per conservare la loro purezza e fede in Cristo, come Agnese, Dorotea, e mille e mille altre.
3) – L’ASSENZA DI OGNI FORMA DI GLORIA. Non era la gloria di eroi che cercavano; molte volte venivano condannati a turme oscuramente: nessuno avrebbe conosciuto nemmeno il loro nome: e andavano cantando, gioiosi solo di sapere che il loro nome era scritto in cielo.
4) – SENZA ALCUN FANATISMO. Conoscevano le pene che li aspettavano e pregavano umilmente fiduciosi della forza che Dio loro avrebbe dato, ché da soli non ce la facevano, come S. Felicita che piange nel carcere per le doglie del figlio che deve nascere e, al custode che le domanda: «Come farai dinanzi alle belve tu, che piangi ora?», risponde: «Ora sono io che soffro, ma là ci sarà un altro in me, che soffrirà per me perché io andrò a soffrire per Lui!». (Dagli atti autentici del martirio di S. Perpetua e Felicita).
5) – L’IMMENSO AMORE verso Dio, per cui danno la vita, verso Gesù cui testimoniano la dottrina, verso i fratelli, cui danno il sacrificio e l’esempio, verso i persecutori che amano, e per i quali pregano, fino a destarne il più grande stupore ed ammirazione.
6) – VIVA FEDE perché il corpo li chiamerebbe a risparmiarsi e a non soffrire, ma la visione della verità e la speranza del cielo fa loro superare i tormenti. Tutti questi elementi ci fanno vedere il martire in una luce tutta particolare; il “fenomeno di uomini coscienti e liberi che sono morti per la fede Cristiana non è un fatto umano, ma suppone necessariamente l’intervento di una forza superi ore” (FERRARI, «Il Martirio Cristiano”, Roma 1913).

fonte – sintesi da: http://radici3.blogspot.com/2021/01/

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