venerdì 5 Febbraio 2021 – IV Settimana T. O. – Sant’Agata – RIMA LETTURA Eb 13,1-8; – Sal 26 (27); – VANGELO Mc 6,14-19
Riflessione quotidiana al Vangelo per camminare in Cristo:
…dei pericoli che minacciano la comunità cristiana ce l’immoralità dilagante che acquisita come modus vivendi e la relazione con il denaro. Per questi motivi l’autore della lettera agli Ebrei chiede ai suoi lettori di tenere nel massimo onore il matrimonio e il proprio corpo che è tempio dello Spirito Santo, e di non precipitare nell’abisso della avarizia. Accontentarsi di quello che si ha è cosa buona, fidarsi di Dio è cosa ancora più eccellente perché irrobustisce la fede, e apre le porte della Provvidenza.
La morte di Giovanni prelude la morte di Gesù e di quanti saranno inviati. Ciò può sembrare poco confortante, ma l’uomo deve comunque morire. La differenza della morte per cause naturali e martirio sta nel fatto che la prima è la fine, il secondo è il fine della vita. Il martire infatti testimonia fin dentro ed oltre la morte, l’amore che sta a principio della vita.
Il martirio: Benedetto XVI (Udienza Generale, 11 agosto 2010): Il martire segue il Signore fino in fondo, accettando liberamente di morire per la salvezza del mondo, in una prova suprema di fede e di amore (cfr Lumen Gentium, 42).
Da dove nasce la forza per affrontare il martirio? Dalla profonda e intima unione con Cristo, perché il martirio e la vocazione al martirio non sono il risultato di uno sforzo umano, ma sono la risposta ad un’iniziativa e ad una chiamata di Dio, sono un dono della Sua grazia, che rende capaci di offrire la propria vita per amore a Cristo e alla Chiesa, e così al mondo.
Se leggiamo le vite dei martiri rimaniamo stupiti per la serenità e il coraggio nell’affrontare la sofferenza e la morte: la potenza di Dio si manifesta pienamente nella debolezza, nella povertà di chi si affida a Lui e ripone solo in Lui la propria speranza (cfr. 2 Cor 12,9). Ma è importante sottolineare che la grazia di Dio non sopprime o soffoca la libertà di chi affronta il martirio, ma al contrario la arricchisce e la esalta: il martire è una persona sommamente libera, libera nei confronti del potere, del mondo; una persona libera, che in un unico atto definitivo dona a Dio tutta la sua vita, e in un supremo atto di fede, di speranza e di carità, si abbandona nelle mani del suo Creatore e Redentore; sacrifica la propria vita per essere associato in modo totale al Sacrificio di Cristo sulla Croce. In una parola, il martirio è un grande atto di amore in risposta all’immenso amore di Dio.
Perciò il martirio, col quale il discepolo è reso simile al suo maestro che liberamente accetta la morte per la salute del mondo, e col quale diventa simile a lui nella effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa come dono insigne e suprema prova di carità. Ché se a pochi è concesso, tutti però devono essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della croce durante le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa.
Tutti, soprattutto nel nostro tempo in cui sembrano prevalere egoismo e individualismo, dobbiamo assumerci come primo e fondamentale impegno quello di crescere ogni giorno in un amore più grande a Dio e ai fratelli per trasformare la nostra vita e trasformare così anche il nostro mondo. Per intercessione dei Santi e dei Martiri chiediamo al Signore di infiammare il nostro cuore per essere capaci di amare come Lui ha amato ciascuno di noi.
fonte – sintesi da: http://radici3.blogspot.com/2021/01/
Sant’Agata il cui nome in greco Agathé, significava buona, fu martirizzata verso la metà del III secolo, alcuni reperti archeologici risalenti a pochi decenni dalla morte, avvenuta secondo la tradizione il 5 febbraio 251, attestano il suo antichissimo culto.
Agata nacque nei primi decenni del III secolo (235?) a Catania; la Sicilia, come l’intero immenso Impero Romano era soggetta in quei tempi alle persecuzioni contro i cristiani, che erano cominciate, sia pure occasionalmente, intorno al 40 d.C. con Nerone, per proseguire più intense nel II secolo, giustificate da una legge che vietava il culto cristiano.
Nel III secolo, l’editto dell’imperatore Settimio Severo, stabilì che i cristiani potevano essere prima denunciati alle autorità e poi invitati ad abiurare in pubblico la loro nuova fede. Se essi accettavano di ritornare al paganesimo, ricevevano un attestato (libellum), che confermava la loro appartenenza alla religione pagana, in caso contrario se essi rifiutavano di sacrificare agli dei, venivano prima torturati e poi uccisi. Era un sistema spietato e calcolato, perché l’imperatore tendeva a fare più apostati possibile che martiri, i quali venivano considerati più pericolosi dei cristiani vivi. Nel 249 l’imperatore Decio, visto il diffondersi comunque del cristianesimo, fu ancora più drastico; tutti i cristiani denunciati o no, dovevano essere ricercati automaticamente dalle autorità locali, arrestati, torturati e poi uccisi.
In quel periodo Catania era una città fiorente e benestante, posta in ottima posizione geografica; il suo grande porto, costituiva un vivace punto di scambio commerciale e culturale dell’intero Mediterraneo.
E come per tutte le città dell’Impero Romano, anche Catania aveva un proconsole o governatore, che rappresentava il potere decentrato dell’impero, ormai troppo vasto; il suo nome era Quinziano, uomo brusco, superbo e prepotente e circondato da una corte numerosa, con i familiari, un numero enorme di schiavi e con le guardie imperiali, dimorava nel ricco palazzo Pretorio con annessi altri edifici, in cui si svolgevano tutte le attività pubbliche della città.
Secondo la ‘Passio Sanctae Agathae’ risalente alla seconda metà del V secolo e di cui esistono due traduzioni, una latina e due greche, Agata apparteneva ad una ricca e nobile famiglia catanese, il padre Rao e la madre Apolla, proprietari di case e terreni coltivati, sia in città che nei dintorni, essendo cristiani, educarono Agata secondo la loro religione. Cresciuta nella sua fanciullezza e adolescenza in bellezza, candore e purezza verginale, sin da piccola sentì nel suo cuore il desiderio di appartenere totalmente a Cristo e quando giunse sui 15 anni, sentì che era giunto il momento di consacrarsi a Dio. Nei primi tempi del cristianesimo le vergini consacrate, con il loro nuovissimo stile di vita, costituivano un’irruzione del divino in un mondo ancora pagano e in disfacimento.
Il vescovo di Catania accolse la sua richiesta e durante una cerimonia ufficiale chiamata ‘velatio’, le impose il ‘flammeum’, cioè il velo rosso portato dalle vergini consacrate. Nel mosaico di S. Apollinare Nuovo in Ravenna del VI secolo, è raffigurata con la tunica lunga, dalmatica e stola a tracolla, abbigliamento che lascia supporre che fosse diventata diaconessa. Il proconsole di Catania Quinziano, ebbe l’occasione di vederla e se ne incapricciò, e in forza dell’editto di persecuzione dell’imperatore Decio, l’accusò di vilipendio della religione di Stato, accusa comune a tutti i cristiani, quindi ordinò che la catturassero e la conducessero al Palazzo Pretorio. Qui subentrano varie tradizioni popolari, che indicano Agata che scappa per non farsi arrestare e si rifugia in posti indicati dalla tradizione, in una contrada poco distante da Catania, Galermo, oppure a Malta, oppure a Palermo; ma comunque ella viene catturata e condotta da Quinziano. Il proconsole quando la vede davanti viene conquistato dalla sua bellezza e una passione ardente s’impadronisce di lui, ma i suoi tentativi di seduzione non vanno in porto, per la resistenza ferma della giovane Agata. Egli allora mette in atto un programma di rieducazione della ragazza affidandola ad una cortigiana di facili costumi di nome Afrodisia, affinché la rendesse più disponibile.
Trascorse un mese, sottoposta a tentazioni immorali di ogni genere, con festini, divertimenti osceni, banchetti; ma lei resistette indomita nel proteggere la sua verginità consacrata al suo Sposo celeste, al quale volle rimanere fedele ad ogni costo. Sconfitta e delusa, Afrodisia riconsegna a Quinziano Agata dicendo: “Ha la testa più dura della lava dell’Etna”. Allora furioso, il proconsole imbastì un processo contro di lei, che si presentò vestita da schiava come usavano le vergini consacrate a Dio; “Se sei libera e nobile” le obiettò il proconsole, “perché ti comporti da schiava?” e lei risponde “Perché la nobiltà suprema consiste nell’essere schiavi del Cristo”. Il giorno successivo altro interrogatorio accompagnato da torture, tralasciamo i testi degli interrogatori per motivo di spazio, del resto sono articolati diversamente da una ‘passio’ all’altra. Ad Agata vengono stirate le membra, lacerata con pettini di ferro, scottata con lamine infuocate, ma ogni tormento invece di spezzarle la resistenza, sembrava darle nuova forza, allora Quinziano al colmo del furore le fece strappare o tagliare i seni con enormi tenaglie. Questo risvolto delle torture, costituirà in seguito il segno distintivo del suo martirio, infatti Agata viene rappresentata con i due seni posati su un piatto e con le tenaglie. Riportata in cella sanguinante e ferita, soffriva molto per il bruciore e dolore, ma sopportava tutto per l’amore di Dio; verso la mezzanotte mentre era in preghiera nella cella, le appare s. Pietro apostolo, accompagnato da un bambino porta lanterna, che la risana le mammelle amputate. Trascorsi altri quattro giorni nel carcere, viene riportata alla presenza del proconsole, il quale visto le ferite rimarginate, domanda incredulo cosa fosse accaduto, allora la vergine risponde: “Mi ha fatto guarire Cristo”. Ormai Agata costituiva una sconfitta bruciante per Quinziano, che non poteva sopportare oltre, intanto il suo amore si era tramutato in odio e allora ordina che venga bruciata su un letto di carboni ardenti, con lamine arroventate e punte infuocate. A questo punto, secondo la tradizione, mentre il fuoco bruciava le sue carni, non brucia il velo che lei portava; per questa ragione “il velo di sant’Agata” diventò da subito una delle reliquie più preziose; esso è stato portato più volte in processione di fronte alle colate della lava dell’Etna, avendo il potere di fermarla. Mentre Agata spinta nella fornace ardente muore bruciata, un forte terremoto scuote la città di Catania e il Pretorio crolla parzialmente seppellendo due carnefici consiglieri di Quinziano; la folla dei catanesi spaventata, si ribella all’atroce supplizio della giovane vergine, allora il proconsole fa togliere Agata dalla brace e la fa riportare agonizzante in cella, dove muore qualche ora dopo. Dopo un anno esatto, il 5 febbraio 252, una violenta eruzione dell’Etna minacciava Catania, molti cristiani e cittadini anche pagani, corsero al suo sepolcro, presero il prodigioso velo che la ricopriva e lo opposero alla lava di fuoco che si arrestò; da allora s. Agata divenne non soltanto la patrona di Catania, ma la protettrice contro le eruzioni vulcaniche e poi contro gli incendi.
fonte – sintesi da: http://radici3.blogspot.com/2021/01/